Verso la metà degli anni ’90, le nuove tecnologie informatiche generarono una bolla speculativa che causò la crisi delle Dot-com.
Come ogni altra crisi generata da una bolla speculativa, anche la crisi delle Dot-com si sviluppò seguendo la classica sequenza tipica di qualsiasi crisi generata da una bolla speculativa:
- estrema fiducia da parte degli investitori nelle potenzialità di un prodotto/azienda;
- crescita rapida del valore degli strumenti finanziari associati;
- evento che fa vacillare le aspettative di importanti guadagni;
- elevati flussi di vendite;
- crollo finale del valore degli strumenti finanziari interessati.
La sequenza sopra descritta si era osservata, difatti, nel sedicesimo secolo con i tulipani, o nel 1929 con, appunto, la crisi del ‘29.
Cause
Nel 1994, con la quotazione di Netscape, la società che sviluppò il primo browser commerciale per internet, prese il via un nuovo ciclo economico, definito New Economy, che terminò tra il 2001 ed il 2002 con lo scoppio della bolla e con le conseguenze degli eventi dell’11 settembre 2001.
La New Economy si contrapponeva alla Old Economy, la quale si basava prevalentemente sul settore manifatturiero.
In pochi anni si assistette al sorprendente sviluppo di aziende operanti nel settore Internet o, più in generale, nel settore informatico, chiamate Dot-com companies, dal suffisso ‘.com’ dei siti attraverso i quali tipicamente tali società operavano, agevolate anche dal basso costo del capitale in un contesto di bassi tassi di interesse.
Infatti, tra il 1995 e il 1999 la Banca Centrale degli Stati Uniti ridusse il tasso ufficiale dal 6% al 4,75%.
L’euforia generale derivante dai concetti di ‘sviluppo’, ‘progresso’ e ‘crescita’, associati a un settore all’avanguardia come quello della New Economy, alimentò le aspettative di futuri e continui aumenti del valore dei titoli emessi dalle aziende del comparto, a prescindere dalle informazioni espresse dai tradizionali indicatori di redditività, quali utili sui prodotti, indebitamento, beni materiali, disponibilità liquide, previsioni di crescita.
Molte di queste società erano addirittura prive di piani aziendali o addirittura di qualsiasi forma di profitto.
Nonostante ciò, molti investitori, attraverso le IPO, furono ben disposti a finanziare buoni propositi e aspettative future, le quali poi finirono con l’autorealizzarsi a causa di massicci acquisti che portarono a una marcata sopravvalutazione delle società emittenti.
Lo scoppio
Lo scoppio di una bolla speculativa può essere causato, tipicamente, dalla saturazione del mercato, ossia dall’assenza di investitori disposti a effettuare ulteriori acquisti a un prezzo che nel frattempo è diventato elevato, e dall’incentivo a disinvestire per monetizzare il guadagno, ovvero dalla revisione delle prospettive di profitto.
Nel caso della bolla del Dot-com, a marzo 2000, i bilanci pubblicati da diverse aziende mostrarono risultati deludenti, fornendo evidenza che l’investimento nelle società del comparto poteva rivelarsi non profittevole.
Le quotazioni cominciarono a calare, per effetto delle vendite da parte di coloro che intendevano disinvestire prima che i titoli in portafoglio si svalutassero ulteriormente. Il Nasdaq, l’indice azionario di riferimento, perse in tre giorni quasi il 9%.
Nel corso del 2001 molte Dot-com companies chiusero o furono oggetto di operazioni di acquisizione e fusione.
Gli effetti
Nel 2004, solo il 50% delle società quotate nel 2000 erano ancora attive a quotazioni infinitesimali rispetto ai loro massimi. Poche le aziende solide che negli anni successivi riuscirono a crescere, tra cui Amazon, eBay, ed Apple.
Per quanto riguarda gli investitori, si osservò naturalmente un effetto gregge, ovvero quasi tutte le persone interessate furono colpite da una grande euforia che li spinse a investire inizialmente, per poi assistere a un panic selling di massa.
Si notò, però, che negli anni successivi gli investitori erano comunque propensi a investire in aziende dello stesso settore, che avessero però tolto dal proprio nome, o dalla propria documentazione, semplicemente, le parole “dot”, “.com” o “dot-com”.
Ci furono anche investitori che presero la decisione di rischiare fino in fondo e di non vendere, bensì di holdare. In questa maniera ci fu chi decise di non vendere le proprie azioni Cisco o Amazon. Quelle di quest’ultima nei dieci anni successivi lo scoppio della bolla passarono da 7 a 950 dollari, fino ad arrivare ai prezzi di oggi.
Il Taxpayer Relief Act
Esiste una teoria alternativa riguardante la bolla Dot-com che si pone da un’angolazione differente per osservare lo stesso fenomeno.
Tradizionalmente si ritiene che esso sia iniziato nella seconda metà degli anni ‘90 per terminare nel 2001, all’incirca con i fatti dell’11 settembre.
Altri studiosi identificano, invece, nell’aprile del 1997 il periodo di inizio e nel giugno del 2003 il periodo di termine, dato che il 5 agosto 1997 il Presidente Clinton firmò il cosiddetto Taxpayer Relief Act, TRA97, stipulato precedentemente nel mese di aprile.
Con esso veniva ridotta l’aliquota fiscale sui guadagni in conto capitale dal 28% al 20% per assets detenuti per più di 18 mesi, e mantenendo invariata quella sui dividendi.
Il TRA97 comportò un sostanziale incremento nella volatilità dei rendimenti per quelle aziende che pagavano dividendi minimi o addirittura nulli rispetto a quelle che pagavano dividendi importanti.
Fu così fornito agli investitori un potente incentivo a trattare queste due tipologie di società in maniera molto differente, favorendo quelle che offrivano dividendi bassi o inesistenti a discapito di quelle che invece pagavano una fetta più significativa di utili.
Nel maggio 2003, con la sottoscrizione del Jobs and Growth Tax Relief Reconciliation Act, le aliquote fiscali per dividendi e in conto capitale furono nuovamente impostate uguali le une alle altre, così come era stato fra il 1986 e il 1997, con la conseguente riduzione della volatilità.
Conoscere questi episodi storici è molto importante per un investitore, in quanto permette di comprendere quali possano essere i segnali di un’eventuale bolla speculativa.
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