Il neuromarketing è una disciplina innovativa che unisce le neuroscienze al marketing con l’obiettivo di comprendere meglio i meccanismi mentali, spesso inconsci e irrazionali, che guidano le scelte dei consumatori. Analizzando le reazioni cerebrali e i comportamenti emotivi, questa pratica consente di indagare come le persone si relazionano a un marchio e cosa le spinge a compiere un acquisto o a sentirsi più o meno coinvolte da un determinato prodotto o servizio.
Le origini del neuromarketing
Il concetto di neuromarketing è stato introdotto nel 2002 da Ale Smidts e si riferisce all’impiego di metodologie neuroscientifiche per comprendere in modo più profondo il comportamento del consumatore, con l’obiettivo di sviluppare strategie di marketing più mirate ed efficaci.
Questa disciplina, ancora relativamente giovane, si propone come integrazione alle tradizionali ricerche di mercato, offrendo soluzioni alternative ad alcune delle loro limitazioni.
Uno degli aspetti fondamentali da considerare è che le persone non sempre esprimono apertamente ciò che pensano. Fattori come imbarazzo, stereotipi interiorizzati o timore del giudizio sociale possono influenzare le risposte fornite in sondaggi o discussioni di gruppo.
Inoltre, esistono numerosi processi mentali che operano al di fuori della consapevolezza e che condizionano la percezione e le decisioni in modo sottile ma potente.
L’aspetto innovativo del neuromarketing sta proprio nell’adozione di strumenti e approcci tipici delle neuroscienze. Perciò, permettono di indagare queste dinamiche profonde. Tuttavia, la disciplina trae ispirazione anche da altri ambiti scientifici, come la psicologia cognitiva e sociale e l’economia comportamentale, che da tempo contribuiscono alla comprensione delle scelte dei consumatori.
Grazie a questo approccio multidisciplinare, il neuromarketing è in grado di offrire una visione più articolata e realistica dei meccanismi che guidano le decisioni d’acquisto e l’interazione emotiva con i brand.
L’integrazione delle neuroscienze nel marketing
Secondo il ricercatore Gerald Zaltman, la stragrande maggioranza delle decisioni di acquisto – circa il 95% – si basa su processi mentali inconsci e spesso irrazionali.
Ogni giorno, il nostro cervello riceve un flusso costante di stimoli sensoriali:
- pubblicità,
- spot televisivi,
- cartelloni,
- packaging,
- interazioni con prodotti.
Quando questi stimoli risultano significativi, vengono memorizzati e possono influenzare le scelte future, creando legami con esperienze di acquisto precedenti.
Senza che ce ne rendiamo conto, il nostro cervello elabora queste informazioni e stabilisce connessioni tra brand e specifici elementi sensoriali come colori, profumi, suoni o emozioni.
È in questo contesto che le tecniche neuroscientifiche offrono un grande valore: permettono infatti di esplorare le reazioni cognitive ed emotive delle persone agli stimoli di marketing, aiutando le aziende a comprendere in profondità ciò che realmente attira o coinvolge i consumatori.
Ricercatori come Paul Broca hanno avuto un ruolo fondamentale nell’individuazione delle regioni del cervello associate al controllo e all’elaborazione delle emozioni. Successivamente, grazie all’evoluzione delle tecnologie e delle conoscenze scientifiche, ricercatori come António Damasio, Joseph LeDoux e Paul MacLean approfondirono lo studio dei processi decisionali, aprendo la strada a nuove applicazioni in ambito commerciale.
Sulla base di queste scoperte, il neuromarketing utilizza strumenti come l’elettroencefalogramma (EEG) per osservare in tempo reale l’attività cerebrale durante l’esposizione a un messaggio pubblicitario, a un logo o a un prodotto. Ad esempio, è stato dimostrato che l’attivazione della corteccia prefrontale sinistra è correlata a emozioni positive: una scoperta che consente ai professionisti del marketing di valutare l’efficacia emozionale delle proprie campagne.
Neuromarketing e marketing tradizionale: differenze e complementarità
Gli esperti di neuromarketing ritengono che strumenti di indagine tradizionali, come sondaggi e focus group, non siano sufficienti per rilevare in modo accurato i processi inconsci che influenzano le scelte d’acquisto dei consumatori. Questo perché i consumatori faticano a esprimere con precisione le motivazioni profonde che li spingono verso certi prodotti.
Le risposte razionali date durante interviste o questionari sono infatti influenzate da molteplici fattori, consci e inconsci:
- Da un lato, la naturale tendenza delle persone a voler essere accettate e apprezzate dagli altri può indurle a fornire risposte socialmente desiderabili, piuttosto che autentiche.
- Dall’altro, spesso ciò che crediamo di sentire non corrisponde realmente a ciò che proviamo, motivo per cui i dati ottenuti attraverso i metodi tradizionali possono differire dai risultati emersi dagli esami neuroscientifici.
Verso un approccio integrato
Nonostante queste differenze, figure autorevoli come Elissa Moses, ex-CEO del Neuroscience and Behavioral Science Center di Ipsos, sostengono che entrambi gli approcci debbano essere considerati complementari.
L’ascolto diretto del consumatore rimane fondamentale e può offrire preziose informazioni sul processo decisionale.
Gianpiero Lugli, nel suo libro Emotions tracking: come rispondiamo agli stimoli di marketing, evidenzia come le nuove tecniche non sostituiscano quelle classiche, ma le arricchiscano, sottolineando l’importanza di comprendere anche la costruzione individuale e sociale della realtà, ottenibile solo attraverso metodi qualitativi come le interviste.
Moses ha inoltre osservato che alcuni clienti temono che i risultati ottenuti con le neuroscienze possano contraddire quelli dei metodi tradizionali. Tuttavia, questo scostamento rappresenta un’opportunità per acquisire nuove conoscenze. Come ha detto la stessa Moses: “Se il tuo scopo è usare il neuromarketing solo per confermare ciò che hai già scoperto con i sondaggi, stai sprecando tempo.”
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