La storia della finanza, dalla rivoluzione industriale a oggi, è proseguita anche se non ci furono enormi cambiamenti nel sistema economico-finanziario, fino al 1944 con gli Accordi di Bretton Woods.
Gli Accordi di Bretton Woods
Le profonde devastazioni arrecate dalla Seconda Guerra Mondiale avevano generato l’esigenza, ampiamente condivisa, di conferire un ordine duraturo alle relazioni internazionali.
La storia economica dei principali Paesi avanzati era stata inoltre segnata dalla grande depressione degli anni ‘30, periodo durante il quale le diffuse pratiche protezionistiche, unite alle svalutazioni competitive dei tassi di cambio, avevano causato un rapido declino del commercio internazionale e dell’economia globale.
In tale contesto, gli Stati Uniti si fecero promotori di un accordo che garantisse il monitoraggio dei flussi di pagamento, degli scambi commerciali e dei movimenti di capitali internazionali.
Nel 1944, 730 delegati di 44 nazioni, riuniti nella città di Bretton Woods, in New Hampshire, per la conferenza monetaria e finanziaria delle Nazioni Unite, dopo un dibattito durato tre settimane, raggiunsero l’accordo che condusse all’istituzione di un sistema basato su rapporti di cambi fissi tra le valute, con il dollaro come moneta di riferimento.
In estrema sintesi, l’accordo prevedeva che tutte le valute dovessero essere convertibili in dollari e che le banche centrali dovessero mantenere un cambio stabile con il dollaro attraverso operazioni di mercato aperto.
La svalutazione era ammessa solo in caso di gravi squilibri strutturali della bilancia dei pagamenti.
L’accordo stabiliva, inoltre, la creazione del FMI, il Fondo Monetario Internazionale, e della Banca Mondiale.
Entrambe queste istituzioni sarebbero diventate operative solo nel 1946, una volta raccolta la ratifica dell’accordo da parte di un numero considerevole di Paesi.
Tra i compiti assegnati al FMI vi erano quelli di:
- promuovere la cooperazione monetaria internazionale;
- facilitare l’espansione del commercio internazionale;
- promuovere la stabilità e l’ordine dei rapporti di cambio, evitando svalutazioni competitive;
- offrire, dietro adeguate garanzie, risorse per affrontare difficoltà derivanti dai disavanzi della bilancia dei pagamenti.
Il Fondo aveva dunque il compito di vigilare sulla stabilità monetaria e l’obiettivo di contribuire a ricostituire un commercio internazionale aperto e multilaterale.
Al suo interno, ogni Stato aveva un potere decisionale proporzionale alla quota del capitale del Fondo sottoscritta. Una quota era versata in oro e una in valuta nazionale.
Tra gli obiettivi della Banca Mondiale, vi era il sostegno alla ricostruzione di Europa e Giappone dopo la Seconda guerra mondiale, sebbene negli anni Sessanta l’Istituzione si occupò anche dello sviluppo economico dei Paesi di Africa, Asia e America Latina in via di decolonizzazione.
Nel 1947, infine, fu firmato l’Accordo generale sulle tariffe e il commercio, il cosiddetto GATT, General Agreement on Tariffs and Trade, teso alla liberalizzazione degli scambi internazionali di beni commerciali.
In seguito alla guerra del Vietnam, l’aumento della spesa pubblica statunitense e l’ingente emissione di dollari da parte del governo degli Stati Uniti, spinsero ripetutamente i Paesi aderenti all’accordo a richiedere la conversione delle riserve in oro, mettendo a rischio le riserve auree del Tesoro degli USA.
Il 15 agosto 1971, a Camp David, il presidente statunitense Richard Nixon si vide costretto ad annunciare la sospensione della convertibilità del dollaro in oro.
Successivamente, a dicembre, i Paesi del G10 firmarono lo Smithsonian Agreement, che poneva fine agli accordi di Bretton Woods, svalutando il dollaro e dando inizio alla fluttuazione dei cambi.
Le istituzioni create a Bretton Woods comunque sopravvissero, pur nella revisione dei relativi obiettivi. In particolare, per quanto riguarda il FMI.
Sull’obiettivo di controllare il rispetto degli accordi, prevalse quello di finanziare gli squilibri della bilancia dei pagamenti dei Paesi in via di sviluppo, a fronte del rispetto di specifiche condizioni e dell’implementazione di piani di stabilizzazione macroeconomica.
Tale funzione costituisce tuttora la priorità del Fondo, come dimostrato dai recenti interventi messi in atto durante la crisi del debito.
La Banca Mondiale, negli anni, ha orientato la propria azione verso la riduzione della povertà.
Il GATT, infine, fu sostituito nel 1995 dal WTO, World Trade Organization, Organizzazione mondiale del commercio, organizzazione tesa all’abolizione delle barriere tariffarie, agli scambi internazionali di beni, servizi e proprietà intellettuali.
La finanza diventa globale
L’economia mondiale è sempre più interdipendente, ma questa non è una novità degli ultimi decenni.
Il fenomeno realmente nuovo è dato dalla portata della globalizzazione finanziaria che si è realizzata a partire dai primi anni ’90 del XX secolo.
Proviamo a fornire un quadro degli elementi strutturali e causali della globalizzazione finanziaria:
- il rafforzamento dell’interdipendenza economica e finanziaria delle diverse aree geopolitiche (Unione Europea, America del Nord, Cina, Sud-Est asiatico, Giappone, Australia, Brasile, India, Russia e Sud Africa);
- la libertà di movimento dei capitali finanziari a seguito dell’abbattimento di barriere legali nazionali nei Paesi ad economia avanzata;
- il forte processo di deregolamentazione delle transazioni finanziarie a partire dal 1996;
- la diffusione capillare di una sofisticata tecnologia di comunicazione telematica;
- l’integrazione dei diversi segmenti dei mercati finanziari internazionali.
In particolare, la mobilità del capitale finanziario, grazie all’esistenza di mercati dei capitali aperti e internazionalizzati, si è avvantaggiata di una tecnologia che consente di operare investimenti finanziari da qualsiasi luogo geografico in modo rapido e con costi di transazione ridottissimi.
Questa rapidità di movimento dei capitali su scala planetaria accresce, però, i rischi di eccessiva variabilità dei prezzi delle attività finanziarie, creando condizioni potenziali di minore stabilità dei sistemi finanziari, in assenza di presidi istituzionali sovranazionali in grado di regolarli e controllarli.
Una variazione delle aspettative, circa l’andamento dei dati macroeconomici di un Paese, può portare repentinamente ad alterare i flussi di investimento finanziario in quel Paese, e nei Paesi ritenuti con caratteristiche omogenee, da parte degli operatori finanziari internazionali, come le banche, i fondi comuni d’investimento, i fondi sovrani, le compagnie assicurative, che, agendo sincronicamente, producono conseguenze destabilizzanti delle sottostanti economie interessate.
La crisi del 2008, originata negli Stati Uniti d’America, ha dimostrato, con i suoi effetti su scala globale, l’interdipendenza bidirezionale tra economia, finanza e l’instabilità delle loro componenti interne.
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